Oltre al sonno e alla concentrazione ci sono anche altre cose che non sono state dette a nessuno.
Giornate intere che scompaiono, e brevi attimi che diventano un’eternità.

(Peter Høeg)

martedì 11 ottobre 2016

Giuseppe Di Maio: Aprile in via Mentana

«Hai visto quanta gente?»
«Già! E’ da ieri sera che arrivano».
«Sembrava tanto solo. Un uomo schivo, parlava così poco».
«Ma sai che non sono ancora riuscito a capire che lavoro facesse? Gliel’ho anche domandato: Che fa, insegna? E lui: No. Non spiccicava una parola più del dovuto».
«Per me era un po’ matto».
«Però, il matto!… Guarda quanta gente... E che gente!»
Davanti alla casetta di via Mentana s’incominciava a parcheggiare in seconda fila. C’erano i carabinieri che andavano su e giù per le scale e sarebbe servito un vigile per regolare il continuo sopraggiungere delle auto.
«Ma che cos’è stato... suicidio?»
«Pare proprio di sì. Il tabaccaio m’ha detto che ieri mattina piangeva».
«Beh! che centra! Uno che piange non è detto che poi s’ammazza».
«Certo, però era triste! D’altronde era sempre triste».
«Io, invece, l’ho visto anche allegro... qualche volta aggressivo. Mi ricordo che una mattina, dopo aver preso il giornale, attaccò briga con uno che passava in macchina. Diceva che non avrebbe dovuto guardarlo in quel modo... fisso!»
«Stavolta sei tu ad avere delle strane idee. Ma ti sembra che uno così permaloso sia un carattere facile?»
«Ah no, questo proprio no. E allora?»
«E allora, uno con un carattere così... altalenante, può combinare di tutto. O no?»
«Già! Ma che aspettano? C’è ancora la polizia là dentro. La cosa, si fa lunga».
«E quella che stava con lui, l’hanno portata via?»
«Pare di si. Lei, gli voleva bene».
Venivano avanti alcune donne anziane e qualche giovinotto con gli occhi rossi dal pianto. La sera prima erano arrivati gli investigatori; quel giorno, invece, sostavano alte uniformi: auto blu con autista. Poi altra gente, sempre ben vestita, anzi, elegante. Un avvenimento per via Mentana, che a quell’ora del giorno ospitava al più qualche bicicletta e un motocarro. Nel primo pomeriggio i curiosi che di tanto in tanto s’affacciavano da una viuzza laterale avvertirono trambusto. Un paio di giganti con le cravatte nere, disperati, con le facce cerulee, cercavano a forza di venir fuori dalla calca. Dietro a questi, una donna sostenuta sotto le ascelle da braccia pietose, si trascinava in lacrime.
«Non fatela entrare», gridò qualcuno con voce sicura ed imperiosa.
Due poliziotti si fecero innanzi per esaudire la voce: «Signora, non adesso, la preghiamo. Portatela via, per favore».
«Oh! Hai visto che roba, il matto. Ma, chi cavolo era? Sembra proprio che fosse un pezzo grosso, e stava qui, a fare la vita dello straccione».
Uno dei curiosi che s’era tenuto in disparte raggiunse il capannello dei commenti quasi di malavoglia, con le mani in tasca.
«Io» — disse — «li avevo sentiti litigare, prima degli spari, ma non più del solito. Eppure non avrei mai pensato che l’amica arrivasse a tanto».
«Gli spari? L’amica? Come, l’amica!»
«Non lo sapevate? Pare che fosse un infedele recidivo. Non l’ha sopportato più, e lei gli ha sparato!»
«Un affare di donne? Ma che strano, l’avevo giudicato un tipo del tutto pacifico... voglio dire, certo non un libertino».
«Eppure! Pare che il nostro amico non fosse quello che pensavamo».
«Di questo, ce ne siamo già accorti. Ma in conclusione, allora è stata lei? Gliela faranno di certo pagare, con tutta questa parata di can grossi».
«Poveraccia».
«Però, il matto, che faccia tosta, come mentiva bene!»
«Già! proprio bene. La faccia, però, non è più tanto dura. La convivente gli ha sparato tutto il caricatore sul viso».
Verso sera un nuovo corteo s’avvicinò all’abitazione del fattaccio. Imboccò la scala, si fermò al secondo piano, e poi all’appartamentino angusto di quel tal “Carlo De Matteis”. Dopo pochi minuti, parecchie divise e giacche nere, e tailleurs scuri cominciarono a sciamare. Qualcuno ridacchiava.
«Insomma, siete dei veri imbecilli! E’ destino che con voi debba fare solo figuracce.»
«Signor colonnello, la madre, persino la madre pensava, anzi ne era certa!»
«La madre, caro tenente, sapeva solo che il figlio non dava più notizie da un paio d’anni. E tuttora non sa dove sia».
«E quello ... quel poveraccio con la faccia sfigurata, chi era?»
«Mah! uno. Uno qualsiasi. Adesso, per favore... anzi è un ordine, chiama l’interpol e rintracciami immediatamente Carlo, vivo o morto. Di questo... come si chiama?»
«De Rienzo, signor colonnello».
«Ecco, di questo De Rienzo se ne occupino gli altri. lo non voglio più sentirne parlare».