Oltre al sonno e alla concentrazione ci sono anche altre cose che non sono state dette a nessuno.
Giornate intere che scompaiono, e brevi attimi che diventano un’eternità.

(Peter Høeg)

martedì 5 giugno 2012

Pizzuto e l'entropia narrativa


L’oggettivo è percezione, e di conseguenza il soggetto percipiente non può essere centro. Non più di qualunque altro soggetto percipiente.
Nello scrivere (e nel teorizzare) di Pizzuto rimbombano gli echi delle moderne teorie delle reti, dei sistemi complessi, dell’ordine caotico dell’universo, dell’invarianza di scala, si scorgono nitide le strutturazioni frattali e quelle isotropiche.
La narrazione di Pizzuto è entropica, <<è la seconda vista che sa scorgere il “vero”, ossia il poetico, al di là del reale, alla cui molteplicità il narrare –sfornito di centro e disperso in mille rivoli, ciascuno dei quali insieme marginale e centralissimo- non solo è perfettamente omologo, ma incessante adequatio>> come sostiene Gualberto Alvino, che dice poi anche <<una cosa (per Pizzuto, ndr) non è ciò che è, ma la costellazione delle cose che sembra>>. Come non riconoscere in queste espressioni le logiche di funzionamento dei moderni autofocus di videocamere e macchine fotografiche, basate su quella che viene definita logica fuzzy (logica sfumata)?
La logica sfumata è applicabile anche alla percezione dell’Io, che però non è sopprimibile. Nel suo pagellare, persino le distanze siderali che Pizzuto frappone fra sé e l’espressione del sé nella narrazione, persino l’indeterminazione del fatto vengono in qualche modo annullate nella reductio ad unum (unum in questo caso è da intendersi come flusso di percezione a forma di imbuto, il quale imbuto ha alla fine della parte stretta il soggetto) che il percipiente impone al percepito nello stesso istante in cui percepisce. E senza percezione non può esserci trasferimento a terzi –diciamo così- del percepito, neanche se il percepito è indeterminato e caotico.

Per fare un parallelo cinematografico, il Frederich che Wenders ha usato in Lisbon Story cova lo stesso dilemma di Pizzuto. Portare una cinepresa rivolta alle spalle e non guardare mai le immagini casuali che ha ripreso non libera l’autore dalla propria presenza, non libera il prodotto artistico dal criterio di selezione anche quando randomizzato, non libera dalla dictatorship dello spettatore neanche quando lo spettatore tenta di farsi ectoplasmico.
Come il matematico puro arriva a vedere la bellezza di un’equazione, Pizzuto apre le porte di un bellissimo spazio virtuale dove il lettore può muoversi con ampiezza di orizzonte proprio perché la minimizzazione della presenza dell’autore libera gigabyte, mettendo a disposizione di un nuovo percipiente file di memoria predisposti, però, dall’autore stesso.
La bellezza mozzafiato delle sperimentazioni letterarie pizzutiane con il loro strascico teorico affascina perché conduce a un’indeterminazione che è anche nelle fondamenta dell’universo intorno a noi, un’indeterminazione che percepiamo profondamente e che continuamente ci sfugge. Ma in tutto ciò l’Io non è affatto scomparso, ha subìto una surcodificazione e abita altezze tali da rendersi invisibile ai sensi, esattamente come i satelliti che ci permettono le odierne telecomunicazioni.
La narrativa –anche se sarebbe meglio parlare di poesia e poetica- di Pizzuto non è un drone senza pilota, il suo <<sfibrante corpo a corpo>> con la scrittura è evidente in ogni momento e tormenta tanto l’autore quanto il lettore che non può non sentire la presenza di un altro Io diverso da sé che l’accompagna nell’esplorazione dei mondi instaurati. È una presenza certamente astratta, un remote-control che facendosi sistema tende a palesarsi nei margini e a farsi invisibile mentre ci si è immersi, tanto quanto la telecamera sparisce anche in concetto durante la visione di un film.
In ogni caso lo scopo di Pizzuto è raggiunto appieno nella dimostrazione che <<l’oggetto conosciuto dipende esclusivamente dall’Io percipiente>>, perché attraverso le sue pagine si impara  che aggrapparsi alle forme infinitive o sedere nella cabina comandi di uno Shuttle sono in fondo solo due modi diversi di viaggiare.

Lorenzo Pezzato

Le citazioni sono tratte da “Verrei in tassì a catturarti, Il carteggio Contini-Pizzuto”, relazione di G. Alvino per la Giornata di studi in ricordo di Gianfranco Contini presso l’Università di Pavia, 2010.

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