Oltre al sonno e alla concentrazione ci sono anche altre cose che non sono state dette a nessuno.
Giornate intere che scompaiono, e brevi attimi che diventano un’eternità.

(Peter Høeg)

giovedì 19 gennaio 2012

Un passo oltre




da Il Grandevetro, n. 207- ottobre-dicembre 2011

Un passo oltre   
Francesca Ruth Brandes   

Lunare, come un’Amalasunta liciniana, la Luminosa signora di Alfonso Lentini consiste. È figura dell’immaginario, ma non per questo è irreale: ha forza materica, dalla gola che freme nel bere al tiepido sonno, rivela tracce di sé, profuma. Non nominata, invocata. Silenziosa, come silenzioso è ogni inizio. La Signora è Musa.
L’atteggiamento tormentato del protagonista si esplica sotto forma di una fissazione di fascino, mentre lei – donna-madre-città – esercita il proprio incanto seduttivo sulle cose che vanno sfaldandosi, ma senza alcun intento ludico. Ogni reciprocità è preclusa (e l’io narrante la desidererebbe molto, come quel dono fiorito che non è per lui), ogni legame soggettivo negato: sfugge al protagonista, che sanguina tempo da una guancia, la concretezza dell’esistente, se non per particolari minuti (la leggerezza delle ricette al profumo di erba cipollina, il respiro della città). La Signora non condivide la ferita, non c’è compassione né ascolto. Eppure la narrazione non assume i toni del soliloquio, perché l’autore riesce ad investire la sfera emotiva dei lettori in una sorta di spinosa condivisione, in cui coesistono una punta di maniacale voyeurismo e una curiosità conclusiva per l’identità dell’arcana presenza (che Lentini, peraltro, si guarda bene dall’appagare).
L’ordito evanescente di Luminosa signora racconta, invece, alcune storie vere, di cui la bellissima compagna è suscitatrice ignara: quella di una stagione politica e sociale, a cavallo tra secondo dopoguerra e l’utopia del Sessantotto, gonfia di speranze e mitologie liberatorie. Quella della città che rende pazzi penetrando nei soggetti come l’acqua, da ogni punto concavo della superficie, intrecciata alla vicenda del padre del protagonista, talmente intriso di primavera da non accettare i rigidi segni della disillusione invernale. Quella dell’isola dei folli, appena accennata, ma nettissima.
Poi, anche questo è reale, a Venezia le case cambiano spesso dimensioni, configurazione, altezza. Esiste qualcosa nell’aria che riduce gli spazi di colpo, fino a fare di una stanza una gabbia, o li allarga a dismisura in un’interminabile processione di venti. Non stupisce che la casa dell’io narrante sia magmatica, indefinita e si sgretoli nell’impermanenza di ogni cosa. 
In realtà, credo che Lentini parli anche del morire, del farsi morte della Natura transeunte in opposizione al simbolo. In questa caducità lieve ed enigmatica, frana l’accidente del giorno per far posto ad una sorta di entità angelica. Non vi è possibilità di oscillare da un piano all’altro senza riaprire ferite insanabili. La Signora, come l’Angelo di Rilke, consiste non tanto perché viene creata dall’autore (e quindi è perfetta presenza), ma perché è già iconica, già oltre il bilico di ciò che pensiamo reale. Tuttavia, la trama funambolica dei segni che Alfonso Lentini riesce ad tracciare, per la malìa propria del saper scrivere – leggeri – pagine grandi, ci restituisce un mondo vivo e profondo, a suo modo salvato. I codici metafisici dell’autore, in quest’opera breve ma importante, si coniugano con un’immaginazione colma di stupefatto lirismo. Il risultato è una prova di sconcertante attualità, persino di riflessione politica sugli esiti di una speranza che non ha saputo inverarsi nel mondo, ma trattasi di un’attualità fondata sul pensiero poetico, sulla coralità delle sfide, e sulla sfida massima dello scrittore, quella all’Infigurabile. In questo, a mio parere, risiede la bellezza di Luminosa signora: l’estrosa sapienza che definisce una visione prevalentemente eidetica della realtà, da un lato; dall’altro la potenza di una struttura organica, e fondante, del narrare. Trasparenza, leggerezza, profondità: per una scrittura che si fa eresia dei propri confini.

Alfonso Lentini, Luminosa Signora, lettera veneziana d’amore e d’eresia, Ed. Pagliai Polistampa, Firenze 2011, pagg. 109, € 8,00

Francesca Ruth Brandes vive a Venezia e si occupa di critica d’arte e poesia.



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