Oltre al sonno e alla concentrazione ci sono anche altre cose che non sono state dette a nessuno.
Giornate intere che scompaiono, e brevi attimi che diventano un’eternità.

(Peter Høeg)

sabato 15 gennaio 2011

Si riparano bambole


di Lorenzo Pezzato



Una mattina ti alzi, accendi il pc a riposo sulla scrivania, connessione automatica e sei online.
Un fatto banale, alla stregua di lavarsi i denti.
Un fatto che segna l’ingresso in un flusso di avvenimenti che mai si sono fermati, una marea in movimento perpetuo all’inseguimento del fuso orario, l’esistenza umana che si snoda lungo un percorso casuale senza capo né coda, un’evoluzione continua, un processo simile alla lievitazione in cui ognuno versa i propri grammi di farina rendendolo potenzialmente infinito.
Da questa massa mobile ed eterea è possibile sezionare dei tratti, ad esempio il periodo di tempo in cui si sta davanti al monitor, una semiretta di accadimenti che è una storia finita in sé, un estratto secondo l’invarianza di scala del complesso degli avvenimenti globali. Della corrente calda oceanica non è possibile determinare inizio e fine, è un ciclo (un sistema) aperto, così il complesso delle informazioni circolanti nella rete (sociale, non solo elettronica).
Si riparano bambole di Antonio Pizzuto è una di quelle semirette.
Nulla c’entra lo stream of consciuousness di Joyce, lontano più che mai dall’occhio osservatore pizzutiano, un occhio soggettivo spogliato di soggettività anche quando il riferimento è autobiografico, quasi a ripescare la proprie memorie dopo che queste si sono spogliate di qualunque personalizzazione mescolandosi alla massa dell’oggettivo.
È impressionante l’aderenza dello scrivere di Pizzuto con la nostra contemporaneità e le sue architetture evolutive nel senso della comunicazione, della narrazione e non del racconto, e questo la dice lunghissima sui passi avanti che il genio siciliano aveva fatto rispetto al suo tempo.
Si riparano bambole è un ingresso qualunque seguito da un’uscita qualunque, come se ci si fosse imbattuti in un viral-video di trenta secondi sulla vita di un qualcuno nel bel mezzo di nove ore di navigazione web ininterrotta.
Si riparano bambole è un evento indeterminato, un non-evento, un ossimoro biografico di straordinaria raffinatezza, una sorta di letteratura in codice binario elementare come solo i fenomeni ad alta complessità sanno essere, una storia rigida nel suo essere fermata in parola ma che si consegna al continuo rinnovamento proprio attraverso l’indeterminatezza.
È un’opera d’arte che non spiega sé stessa, si espone — è il caso di dire — alla compenetrazione col fruitore e il suo bagaglio emotivo, è materia inerte psicoreattiva (altro ossimoro) come la gelatina che scorreva nelle fogne di New York nel celebre film dei Ghostbusters, tanto per mescolare a questa riflessione qualche reminescenza generazionale cultpop.
Certo non è banale o popolare confrontarsi con Pizzuto, al contrario è un fatto drammatico e antidemocratico perché obbliga a proseguire nel confronto senza che la propria volontà possa qualcosa per contrastare la dispotica grandezza dell’autore. Ma è il primo impatto, la prima lettura, come il primo accesso ad internet, che lascia sbalorditi per l’immensità cui ci si affaccia e spaventa per la mancanza di punti di riferimento, di percorsi chiaramente segnalati, per il rischio di perdersi in una inconcludenza ectoplasmica. Poi si inizia a navigare e si impara a riconoscere la stella polare.
Coloro che hanno scritto che la letteratura di Pizzuto non è necessaria hanno perfettamente ragione, ma è da quella letteratura non necessaria che la necessità della letteratura è esaltata.

Antonio Pizzuto
Si riparano bambole
a cura di Gualberto Alvino
Milano, Bompiani, 2010

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